Gli operatori pastorali della Diocesi sono uomini e donne in cammino di speranza.
Come vive la Diocesi il Giubileo nelle dimensioni ordinarie della vita ecclesiale?
di don Marco Volpe
Evento di grazia
Nell’ambito della programmazione pastorale in questo anno giubilare, la Diocesi ha proposto un pellegrinaggio per gli operatori pastorali il 30 marzo 2025.
Provenienti dalle comunità parrocchiali della Diocesi e dalle realtà ecclesiali, circa duecento operatori tra catechisti, consigli pastorali e affari economici, comitati feste, educatori e animatori, insieme ai sacerdoti e al Collegio dei Consultori e all’Amministratore diocesano Mons. Nicola Urgo, si sono radunati nella chiesa S. Francesco a Tricarico per la celebrazione dei vespri presieduti da don Gaetano Grippo, consultore, e animati dalla corale diocesana “S. Cecilia”, diretta da don Angelo Auletta.
L’evento di grazia, in un tempo speciale della Chiesa universale che celebra il Giubileo ordinario e in un tempo particolare in cui la Chiesa locale attende il nuovo pastore, è stato introdotto da don Alessio Cafarelli, referente diocesano per il Giubileo, che ha sottolineato la bellezza del momento nel contesto del cammino profondamente ricco che la Diocesi sta compiendo.
Don Nicola Soldo, direttore dell’Istituto Teologico di Basilicata e docente di Antropologia teologica, ha offerto una meditazione sull’essere pellegrini di speranza. Egli ha aiutato gli operatori pastorali a comprendere cosa sperare e quali passi compiere per sperare ed essere autentici pellegrini e non semplici esploratori, viaggiatori o turisti.
L’assemblea, dopo la preghiera e la meditazione, si è messa in cammino, in pellegrinaggio verso la chiesa giubilare della Cattedrale con la recita dei salmi e delle Litanie dei Santi, dietro la croce, guidati da don Giovanni Trolio, Consultore, per concludere il cammino con la Professione di fede e la recita delle preghiere secondo le intenzioni del Santo Padre e, così, ricevere il dono dell’Indulgenza. Infatti, i sacerdoti presenti si sono resi disponibili per la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione mentre tutta l’assemblea si preparava per la Celebrazione eucaristica presieduta dall’Amministratore diocesano e animata dalla corale. In essa si è manifestata in maniera ancora più visibile e reale la comunione ecclesiale, popolo radunato intorno all’altare, invitato, nell’omelia, a crescere nella corresponsabilità, a impegnarsi nella riconciliazione, a imparare la pazienza, costruendo il cantiere dell’ospitalità e della casa per una qualità diversa delle relazioni e del servizio ecclesiale.
Mons. Urgo ha ricordato che «occorre crescere nella corresponsabilità. Occorre che pastori e laici trovino insieme soluzioni e stimoli per crescere nello spirito della corresponsabilità pastorale, compresa la gestione economica e amministrativa».
Non è tempo di fermarsi ma «adesso il nostro pellegrinaggio deve proseguire nel quotidiano della nostra vita. Quello che abbiamo vissuto “insieme” questo pomeriggio è stata un’occasione per nutrire ed irrobustire la speranza, perché diventi uno slancio per continuare a camminare ogni giorno nelle nostre comunità parrocchiali, nelle associazioni e gruppi ecclesiali, e nelle nostre famiglie, dietro la Croce del Signore che sempre ci precede e ci indica la meta da raggiungere».
Cosa fare per vivere la divina leggerezza della speranza?
Speranza come virtù teologale
Nella meditazione, don Nicola Soldo, ha affermato che «la speranza è un cammino di amore dal quale nessuno ci può separare», come ben evidenzia la Bolla di indizione del Giubileo ordinario 2025 di Papa Francesco, Spes non confundit (2-3.5).
Con l’affermazione di S. Paolo nella Lettera ai Romani: «Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (4,18) gli operatori pastorali sono stati accompagnati «a compiere il passaggio che ci porta da una speranza come sentimento o atto della volontà che tende al raggiungimento di un bene, a una virtù teologale che si anticipa a noi per riscrivere la nostra storia sul ciglio delle nostre inconcludenti scelte».
Speranza “altra”
Nel racconto in cui Gesù dodicenne viene ritrovato nel tempio (Lc 2,41-52), la prima cosa a emergere è che «la fede e la speranza non si inventano, ma si ricevono nel cuore del popolo santo e della propria famiglia: prima che un compito, sono un dono, anzi sono la grazia della festa. Solo mettendosi dentro la “consuetudine”, conoscendola ed amandola, si apre lo spazio per l’inedito di Dio e il gioco della nostra libertà». L’altro elemento che emerge è che Gesù è perso, cercato e ritrovato e fa comprendere, anche alla luce dell’etimologia latina (specchio) e quella greca (volere) della parola sperare, che «sperare vuol dire imparare a mettere a tema, a stare nello spazio che si genera nel nostro volere e decidere fino a farli incrociare».
Come sperare. Tre passi fondamentali
Alla luce della Prima lettera di S. Pietro sulla “speranza viva”, l’Apostolo indica tre passi, tre modi per vivere la divina leggerezza della speranza (1Pt 3,13-18).
- La centralità di Cristo e di Dio nella nostra vita.
I cristiani sono invitati ad adorare, cioè «santificare, riconoscere come santo il Signore, Cristo, nei vostri cuori» (v. 15a).
- La testimonianza personale e comunitaria.
L’Apostolo ci chiede di essere «sempre pronti alla difesa di fronte a chiunque vi chieda ragione della speranza che è dentro di voi» (v. 15b).
- Lo stile della vita in speranza.
La Prima lettera di Pietro disegna questo stile con tre caratteristiche (v. 16): la nostra testimonianza umana e cristiana deve avvenire con dolcezza (di fronte a chi chiede), con rispetto (timore, davanti a Dio), con buona coscienza (sunéidesis agathé).
Pellegrini di speranza
«Il pellegrinaggio giubilare, allora, vuole essere una provocazione: andare alle sorgenti della nostra fede e della nostra cultura occidentale (ebraico cristiana e greco-romana) per cambiare vita e convertire noi stessi, riconoscendo l’altro e ritrovandoci nel diverso da noi. L’altro non è un nemico ostile e concorrente, ma un tu promettente e benefico.
Dovremmo far scoprire, dentro le forme frammentate e disperse con cui si vive oggi la partenza da casa e la ricerca di nuovi approdi, la nostalgia dell’homo viator, rivelare il pellegrino dell’Assoluto dentro le forme fragili della vita odierna.
Questa è la speranza che possiamo trasmettere attraverso la “spiritualità” del pellegrinaggio, per mettere alla prova la nostra identità da ricostruire e restaurare sempre da capo.
Il pellegrinaggio è amico della speranza, ne è anche il motore nascosto.
Il pellegrinare deve incidere sul corpo, sulla fatica, sull’immaginario, sui desideri, deve mettere alla prova noi stessi».