Messaggio per la Pasqua 2018 di S. E. Rev.ma Mons. Giovanni Intini

EQUIPAGGIATI PER PERCORRERE CAMMINI DI RISURREZIONE

Cari fratelli e sorelle,

in prossimità della celebrazione annuale del Mistero Pasquale di Gesù, desidero raggiungervi per farvi dono di alcuni “ souvenir pasquali “ che non sono miei ma nati dal luminoso magistero di Mons. Tonino Bello, che fu vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi dal 1982 fino alla sua morte prematura avvenuta il 1993, di cui quest’anno si compiono venticinque anni.

Nell’agosto del 1992, mons. Bello teneva ad Assisi una riflessione a un convegno della Pro Civitate Christiana, che ora sembra quasi come un testamento spirituale.

Desidero attingere a questo prezioso insegnamento, perché mi sembra tagliato su misura per noi, che spinti dallo Spirito del Risorto stentiamo ad accettare il suo invito in Galilea ( Mc 16,7).

Il Crocifisso Risorto dà appuntamento ai suoi discepoli di ieri e di oggi in Galilea, cioè sulle strade della vita, dove l’uomo affronta quotidianamente le sfide della storia.

A Maria di Màgdala che faticosamente l’ha riconosciuto, grazie al tono familiare della voce che l’ha chiamata per nome, e che vuole trattenerlo gelosamente per se, Gesù Risorto impone: “ Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va dai miei fratelli e di’ loro: << Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro >>” (Gv 20, 17).

Gesù Risorto stronca sul nascere un tentativo di appropriazione individuale del rapporto con Lui, a fini personali, ma rimanda all’annuncio e alla testimonianza, veri cardini della fede cristiana.

Dalla Pasqua di Cristo e dal dono dello Spirito Santo nasce la missione della Chiesa: “…avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra.” ( At 1, 8).

La “ Chiesa in uscita” è la Chiesa del Risorto, che lo Spirito Santo spinge fuori dalle mura del Cenacolo per incontrare gli uomini e le donne di ogni tempo

Dunque una Chiesa in movimento, che cammina, in stile di esodo permanente per le strade del mondo, spesso impervie e disseminate di contraddizioni ma luogo fecondo per il compiersi della salvezza.

A questa Chiesa “in uscita”, rivestita di Cristo risorto e missionaria,   serve un equipaggiamento che Mons. Bello individua con profetica chiarezza.

IL BASTONE DEL PELLEGRINO

E’ il simbolo della transumanza, che noi che abitiamo il territorio della Basilicata conosciamo bene. Il bastone dice cammino, e la fede fin dagli inizi è cammino, non sempre facile e spesso pericoloso.

Il cammino è anche per noi oggi una provocazione continua, perché nonostante le mille possibilità di comunicazione, siamo sempre tentati di “bivaccare” nel tentativo di restare aggrappati a vecchie certezze che pur puzzando di muffa, tuttavia ci garantiscono sicurezze.

Uscire dai nostri recinti per noi, discepoli di Cristo, risulta sempre più urgente per raggiungere i nodi problematici del vivere umano, gli angoli più nascosti dove non batte mai il sole della speranza e i vicoli stretti della rassegnazione.

Tuttavia il nostro non è un cammino vago e anonimo ma un cammino con una precisa meta: Dio. Vivere con Dio o senza Dio non è la stessa cosa, ma perché Lui sia per noi forza propulsiva nelle scelte della vita, occorre che ci interroghiamo sulla nostra idea di Dio.

Crediamo nel Dio di Gesù Cristo? Questa domanda non è per niente un’offesa, dal momento che spesso ci accompagnano idee confuse su Dio.

Spinti dalla gioia pasquale rimettiamoci in cammino alla scoperta del Dio che ha risuscitato Gesù dai morti, il Dio amante della vita che fa nuove tutte le cose.

LA BISACCIA DEL CERCATORE

Ogni viaggio richiede un bagaglio, nel nostro caso una bisaccia del cercatore. Intorno a noi c’è tanto male che si manifesta come cattiveria, rivalità, divisione, egoismo e tutto questo finisce per convincerci che tutto è male e a noi non resta che rassegnarci a essere dei “ giusti solitari”, ultimi esemplari di fedeltà e purezza.

San Paolo, nella Lettera ai Tessalonicesi scrive: “ Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie. Esaminate ogni cosa: ritenete ciò che è buono” (1 Tess 5,19-21).

E’ il difficile e antico compito di fare discernimento, nella luce dello Spirito Santo, per esaminare ogni cosa e tenere per noi ciò che è buono e metterlo nella bisaccia.

C’è tanto di bene, di bello e di buono intorno a noi, ma noi siamo quasi prevenuti da tutto quello che non nasce nel giardino di casa nostra; e perciò siamo più allenati a dare che a ricevere e così facendo contribuiamo a curare “la nostra aristocrazia puritana” e a tenere lontano tutto quello la cui origine non è da noi controllata.

Il discepolo di Gesù, nella bisaccia del cercatore, mette tutto quello che di buono raccoglie nei sentieri della storia, consapevole che i semi del Verbo sono sparsi anche là dove noi non pensiamo.

IL CIOTTOLO DEL LAGO

Nella bisaccia ci sta bene un ciottolo del lago. Il lago è il luogo della  vita feriale degli apostoli con Gesù: luogo del lavoro, della vocazione, della paura, delle frustrazioni, dei successi, delle gioie, delle speranze.

Sul lago è avvenuta la loro risurrezione dopo gli eventi tumultuosi del Calvario. Sul lago Gesù non ha mai fatto mancare la sua presenza amica.

Perciò portarsi nella bisaccia un ciottolo del lago significa voler imparare lo stile di Gesù, quello della presenza amica nei luoghi del vivere quotidiano.

E’ l’orientamento che ci viene dal Concilio Vaticano II attraverso le parole della Gaudium et spes: “ Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” ( GS 1).

Tutto quello che è genuinamente umano va raccolto e custodito nella nostra bisaccia del cercatore, perché sono tante le cose belle e buone che ci consentono di creare buone relazioni anche con chi non frequenta i nostri ambienti e gira al largo delle nostre comunità. Queste relazioni possono diventare anticamera della trasmissione del vangelo da persona a persona, con stile rispettoso e gentile ( Evangelii gaudium 127-128).

Il ciottolo del lago diventa segno della nostra cordiale compagnia con tutti gli uomini e le donne di oggi, per abitare la casa comune e sfuggire alla tentazione di vivere la vita delle nostre comunità cristiane come dorato isolamento per difenderci dai tempi cattivi; questo sarebbe un segnale di mancata ricezione dello Spirito del Risorto.

IL CIUFFO D’ERBA

Nella nostra bisaccia di pellegrini dell’Assoluto, trova spazio anche un ciuffo d’erba del monte: il monte delle beatitudini. Le beatitudini suonano come il programma della pacifica e difficile rivoluzione cristiana: la novitas cristiana da offrire al mondo.

E’ la testimonianza che come credenti siamo chiamati a rendere al mondo ancora oggi; il beato, prossimo santo papa Paolo VI, nell’Esortazione apostolica “ Evangelii nuntiandi” scriveva: “ L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni.” (EN 41).

Anche se distratto, al mondo non sfugge la coerenza come tratto di autenticità del credente, capace di andare oltre le parole; concretezza e autenticità sono le coordinate attraverso cui incontrare anche coloro che sembrano lontani dai percorsi di fede.

Purtroppo però dobbiamo constatare che quel ciuffo d’Elba del monte delle Beatitudini, si è appassito, perché noi credenti siamo spesso venuti meno alla testimonianza coerente e la nostra differenza rispetto al mondo si é neutralizzata e ci siamo adeguati al sentire comune.

Il nostro deficit non è forse nei contenuti della dottrina cristiana, quanto nell’incoerenza con cui viviamo la nostra identità di cristiani di fronte al mondo. Abbiamo perso l’amore degli inizi e si è raffreddata la passione del Vangelo. Ci manca l’audacia profetica.

La veglia pasquale che ci introduce nel tempo della Pasqua, inizia proprio con l’accensione e la benedizione del fuoco, che questo gesto non sia solo un gesto rituale ma alimentiamo in noi quel fuoco che Gesù è venuto ad accendere perché il Vangelo delle beatitudini diventi prassi di vita.

UN PEZZO DI PANE

Nella bisaccia trova posto anche un pezzo di pane; il riferimento è alla moltiplicazione dei pani e al comando di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”.

La compassione di Gesù per la folla interroga anche noi, che non possiamo burocratizzare la carità sottraendola allo sguardo del cuore. La sofferenza che ci circonda é tanta e il pezzo di pane nella bisaccia ci ricorda che la percezione dei bisogni concreti dei poveri è per noi Chiesa un dovere fondamentale se non vogliamo perdere il contatto con la carne di Cristo.

LA SCHEGGIA DELLA CROCE

Nel prezioso equipaggiamento del credente missionario nella storia, non può mancare una scheggia della croce di Cristo: preziosa reliquia della disponibilità a perdersi per amore.

La scheggia della croce è testimone di un prezioso e redditizio fallimento: il dono d’amore per la salvezza dell’altro, perciò guai a relegare la croce di Cristo nel ripostiglio degli oggetti sacri da tirare fuori occasionalmente o collocarla in modo più nobile nel museo, muta testimone del fine lavoro di cesellatura artistica più che dello scandaloso significato di cui é portatrice.

Una Chiesa che vuole uscire per le strade del mondo a curare le ferite dell’umanità deve prima di tutto fare i conti con i mezzi deboli: guai se dovesse contare sulle lusinghe del potere o voler occupare il posto vuoto lasciato dal tramonto delle ideologie o pensare che la potenza del Vangelo dipende dai mezzi usati per annunciarlo.

La Chiesa deve sperimentare l’onnidebolezza di Dio, come diceva Bonhoeffer. La vera onnipotenza di Dio è la sua onnidebolezza rivelata nella croce di Gesù.

Come Chiesa compagna dell’uomo e testimone dello Spirito dobbiamo liberarci da ogni complesso di superiorità nei confronti del mondo, ed essere disposti a perderci per diventare sale della terra e luce del mondo.

IL CALCINACCIO DEL SEPOLCRO VUOTO

E infine nella bisaccia del cercatore deve trovare posto un calcinaccio del sepolcro vuoto, segno della speranza cristiana.

Noi tutti cristiani coltiviamo le stesse speranze degli uomini e delle donne di oggi: la salute fisica, la quiete interiore, il riscatto dalla sofferenza, la vittoria dalla morte, Il benessere, l’appagamento del bisogno d’amore, il successo nella vita, la costruzione di rapporti fraterni, un mondo senza violenza e odio, una terra che torni a splendere per bellezza non più violentata dall’egoismo dell’uomo. Queste speranze sono uguali a quelle degli altri uomini e dunque le speranze del cristiano non sono estranee alle speranze del mondo.

Tuttavia come credenti siamo anche testimoni dello Spirito, perciò la speranza cristiana pur condividendo le speranze del mondo, a un certo punto le scavalca, le trascende e le orienta a un oltre che è Cristo Risorto.

Cristo Risorto, per noi credenti, é la spiaggia ultima della felicità, su cui si placano finalmente tutte le congenite inquietudini del cuore umano.

Questa speranza che è ulterioritá dà senso a tutte le nostre buone lotte terrene, ai progetti, ai programmi, ai percorsi in cui impegniamo oggi la nostra responsabilità.

Oggi le campane dei credenti suonano insieme alle trombe degli uomini, la stessa musica. Poi, quando le trombe non si udranno più, i rintocchi delle campane porteranno davanti al trono di Dio, il concerto di tutta la terra, un concerto che si leva in suo onore anche se, forse, non tutti gli orchestrali lo sanno.

Mi perdonerete questo riferimento personale, ho voluto tributare questo omaggio a Mons. Tonino Bello per un debito di riconoscenza che mi porto dentro verso quest’uomo che ha saputo mettersi alla sequela del Pastore grande delle pecore con totale fedeltà e abbandono e questo per molti che hanno avuto la gioia di conoscerlo è stato un incoraggiamento ad abbandonare un cristianesimo sociologico e militante per vivere la passione del Vangelo sine glossa. Perciò ho voluto condividere il tutto con voi, fratelli che il Padre mi ha donato, consapevole che condividere l’esperienza dei testimoni della fede è occasione per risorgere secondo lo Spirito.

A tutti auguro di rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus: riconoscere il Crocifisso Risorto,  che fa la strada con la sua Chiesa, nella Parola e nel Pane spezzato e così ripartire con slancio sulle strade della missione dove ci attendono gli uomini e le donne di oggi.

Anima mia canta e cammina,

anche tu o fedele di chissà quale fede

oppure tu uomo di nessuna fede

camminiamo insieme

e l’arida valle si metterà a fiorire.

Qualcuno,

Colui che tutti cerchiamo

ci camminerà accanto.

(David Maria Turoldo).