Relazione del vescovo Giovanni al convegno sul Venerabile Raffaello Delle Nocche

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE

Sezione San Tommaso – NAPOLI

Convegno: Il Venerabile Raffaello Delle Nocche, un pastore a servizio della Chiesa del Sud

RELAZIONE DI S. ECC.ZA MONS. GIOVANNI INTINI, Vescovo di Tricarico

                                                                                                      31 maggio 2022

LA FORMAZIONE DEL CLERO NELL’AZIONE PASTORALE DEL VENERABILE RAFFAELLO DELLE NOCCHE

“Ai vescovi infatti incombe sopratutto il grave impegno della santità dei loro sacerdoti: devono pertanto prendersi la massima cura per la continua formazione del proprio presbiterio. Ne ascoltino volentieri il parere, anzi prendano l’iniziativa di consultarli e dialogare con loro su quanto concerne la necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi.” (PO 7).

Quando il Concilio Vaticano II scriveva queste parole nella Presbyterorum ordinis, Mons. Raffaello delle Nocche aveva concluso il suo pellegrinaggio terreno da cinque anni. Tuttavia l’orizzonte della relazione tra vescovo e presbiteri delineato dal Concilio Vaticano II era già ben chiaro al Vescovo di Tricarico.

Fin dal suo ingresso nella Diocesi di Tricarico, l’8 settembre del 1922, Mons. Delle Nocche si rese conto dei limiti che la sua azione pastorale avrebbe avuto senza un clero adeguato alle circostanze. Il problema non era la mancanza di clero, ma l’idoneità di tanti sacerdoti al ministero pastorale e questo a causa della formazione poco adeguata e  del forte condizionamento dell’ambiente sociale.

Se da un lato il Vescovo lamenta la situazione, dall’altro è sempre pronto a guardare a un orizzonte più ampio per superare l’ostacolo; così scrive il una sua lettera del 25 maggio 1926: “Voi avete ragione di restare sorpreso per certe cose; ma io, che le deploro immensamente e le risento vivissimamente, non ho mezzi per poter cambiare questo stato di cose, che dura chi sa da quanti decenni! Debbo fare quel pochissimo che mi è concesso e preparare frattanto un clero diverso coi giovani che ora stanno in Seminario. Come faccio a cambiare la testa di persone che per lunghissimi anni si sono abituate a vivere così, e che d’altra parte non hanno avuta in Seminario la formazione che era necessaria perché comprendessero l’altezza e la dignità del ministero a cui saranno chiamati?” (Lettere, p.482). Appare chiaro a Mons. Delle Nocche che la formazione è la via maestra per avere un clero capace di assumersi la responsabilità pastorale in vista di una adeguata evangelizzazione di una popolazione che univa alle carenze culturali, anche carenze religiose, che rendevano la fede solo una espressione epidermica, legata alle festività del calendario, con scarse ricadute sul vissuto concreto, ancora spesso legato a credenze popolari che non si coniugavano con il Vangelo.

Nel nuovo contesto pastorale, il Venerabile ebbe modo di attingere all’esperienza acquisita negli anni del suo sevizio come rettore del Seminario Apulo-Lucano di Molfetta, dal 1915 al 1920, anni travagliati a causa del primo conflitto mondiale, che rese arduo il servizio del giovane rettore Delle Nocche, ma segnò anche la sua personalità e la caratterizzò come paternità spirituale sempre attenta alla crescita umana e cristiana delle persone a lui affidate.

Mi sembra di poter raccogliere l’impegno formativo di Mons. Delle Nocche intorno a tre nuclei fondamentali che caratterizzano il suo profilo di pastore, e cioè: paternità, formazione spirituale e carità pastorale.

  • Paternità

È lui stesso a richiamare questo aspetto del suo agire pastorale, in una lettera indirizzata all’Arciprete di Stigliano, Don Rocco Longo, il 29 luglio 1924: “…Lei sa quanto a me piaccia di essere sempre padre, specialmente per i miei sacerdoti; ma è appunto l’ufficio di padre il richiamare a tempo in modo che le piaghe non diventino incurabili.” (Lettere, p.367). Appena arrivato in diocesi, così scrive a un sacerdote: “Vorrei che specialmente con i sacerdoti potessi essere sempre affettuoso e mai severo…” (Lettera, p.341); e ancora in un’altra lettera: “…a me dispiace moltissimo che i miei sacerdoti non stiano in relazione con me, poiché mi sento ad essi veramente affezionato.” (Lettera, p.353).

Questa paternità diventò comunione di vita sacerdotale, quando dagli anni ’40 del secolo scorso, cominciarono ad arrivare nel clero i nuovi sacerdoti provenienti dal Seminario e il Vescovo volle che trascorressero con lui, in episcopio, i primi anni di vita sacerdotale. Da buon formatore, guidava personalmente il loro inserimento nella vita pastorale e nell’apostolato, indirizzando i giovani preti a una regola di vita che scandisse in modo chiaro e puntuale la loro vita. Come attestato da Don Pancrazio Perrone nella biografia del Venerabile Vescovo, anche il pranzo e la cena erano momenti di incontro e occasione di dialogo e di programmazione degli impegni da assolvere. La promozione della vita comune del clero aveva come scopo anche un adeguato distacco del sacerdote dalla famiglia di origine; in un ambiente sociale sostanzialmente povero, avere un prete in famiglia risultava una fortuna, anche in termini di scalata sociale dei propri familiari. Questo spesso generava contrasti tra fazioni di una stessa comunità cittadina che nuocevano alla vita e al ministero del sacerdote. Perciò Mons. Delle Nocche cercava di non lasciare il sacerdote nel proprio ambiente, perché fosse in grado di esercitare il proprio ministero con libertà e sollecitudine verso tutti.

Tuttavia non mancò mai nel Vescovo il giusto riconoscimento degli affetti familiari, che spesso attesta nelle sue lettere.

Con la sua paziente paternità, Mons. Delle Nocche cercò di tessere la delicata tela delle relazioni armoniche tra i giovani preti e il clero anziano, in vista di una comunione effettiva e affettiva nel presbiterio diocesano.

Ai sacerdoti più avanti negli anni raccomandava quella paterna pazienza per aiutare i giovani sacerdoti a maturare nell’equilibrio necessario per costruire solidi rapporti fraterni: “Caro Arciprete, la prudenza, il compatimento, la posatezza non possiamo pretenderli dai giovani, dobbiamo averli noi che di anni ne abbiamo tanti di più. Del resto anche alla vostra età siete sempre calmo e prudente? Che meraviglia che manchi in questo giovane? Lo avete preso mai con affetto come un figliuolo da avviare? Che bella missione sarebbe questa! I vostri gusti sono diversi e così le vostre abitudini e io non pretendo che le trasformiate, ma l’amore delle anime, e voi certo l’avete, dovrebbe farvi desiderare, incoraggiare le iniziative che il giovane prende e fargli notare con dolcezza, con riservatezza e con carità dove sbaglia. Egli certo dovrebbe agire in accordo, anche in dipendenza da voi, ma incoraggiatelo a farlo, spronandolo in qualche cosa e frenandolo in altre, e quando sbaglia aspettate che sia calmo per farglielo costatare ma…non lo dite ad altri. Non avete mai inteso che il sole che sorge ha più adoratori del sole che tramonta? Persuadetevene voi come ne sono persuaso io! È una legge sapientissima della provvidenza. Noi siamo vicini al tramonto completo e dobbiamo avviare quelli che raccoglieranno la nostra eredità e continueranno e perfezioneranno, ce lo auguriamo, le opere che erano affidate a noi.” (Lettere, p. 420).

La serena sapienza di queste parole attesta da sola il profilo di profonda paternità, vissuta e insegnata dal Venerabile Mons. Delle Nocche.

  • Formazione spirituale

La sua attenzione paterna verso i sacerdoti, lo portò a interessarsi in particolare della loro crescita nella vita dello spirito. Il Vescovo Delle Nocche è profondamente convinto che la vocazione è un atto di generosità e di amore e il prete non può essere un mestiere. Così scrive a un sacerdote che lamentava al Vescovo di non percepire un compenso economico adeguato: “Hai cominciato con la lirica e sei caduto nella prosa volgare. Tanti più anziani di te hanno affrontato il sacrificio perfino di cucinarsi un boccone e non hanno affacciato la pretesa di uno stipendio…La Chiesa non prende impiegati ma pastori di anime, i quali si dedicano al gregge non a se stessi!…Ma non pensavo che un giovane, come prima accoglienza facesse questo discorso…Mi aspettavo che avessi pregato, che mi avessi chiesto di fare qualche giorno di ritiro per meditare non su quello che avresti avuto mensilmente, ma sulle virtù sacerdotali da dover praticare sempre specialmente in Parrocchia e per proporti un programma di vita, di apostolato, di preghiera, di mortificazione. Quello che non hai fatto di tua iniziativa ti esorto a farlo ed a meditare seriamente. E poi se non vuoi incorrere in seri guai in avvenire, non ti abbandonare agli impulsi del momento; rifletti e prega prima di scrivere, prima di agire.” (Lettere, p. 440-441).

Vegliò sempre sulla vita spirituale dei suoi preti, e sentì forte questa responsabilità, soprattutto quando rilevava carenze spirituali nella loro vita. Così si rivolge a un sacerdote: “Caro figliuolo, la tua lettera mi ha reso perplesso e pieno di timori. Non so quali siano le tue disposizioni spirituali: fai la meditazione costantemente? Ti confessi frequentemente? Domandi al tuo confessore consigli per vivere e giudicare sacerdotalmente le cose che fai e quelle alle quali aspiri?…Sarei tanto più tranquillo nei riguardi tuoi se tu potessi rispondere affermativamente a tutte queste domande. Mi richiami al mio senso di responsabilità ed hai ragione: avrei dovuto metterti più chiaramente sull’avviso sul tuo orientamento spirituale e sugli inizi del tuo apostolato; avrei dovuto dirti come impostavi male la tua vita sacerdotale con la disistima che hai dimostrato per il tuo venerando Parroco…Ti sei disamorato della vita e del ministero pastorale? Mi affliggo per te.” (Lettere, p. 423).

Il desiderio del Vescovo Delle Nocche fu sempre quello di vedere i suoi sacerdoti umanamente ricchi, creativi, spiritualmente ispirati, con una solida vita interiore,   premessa necessaria per essere realisticamente incarnati nel loro ambiente vitale, dove svolgere il ministero pastorale. Per alimentare tutto questo, il Vescovo promosse la crescita fraterna dei sacerdoti attraverso incontri periodici, che col passare del tempo diventarono mensili e spesso i sacerdoti si riunivano nei vari paesi per aggiornamenti spirituali, dottrinali e pastorali.

Questa attenta paternità del Vescovo Delle Nocche non fu mai ostentata o esibita, ma fu vissuta in modo maturo, discreto e vigilante, per poter sempre tendere la mano ai suoi figli sacerdoti in qualsiasi momento.

  • Carità pastorale

Il profilo del Venerabile Vescovo Delle Nocche, emerso da quanto fin qui detto, affonda le radici nella carità pastorale, che San Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis definisce: “…quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi che mostra l’amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi…” (Pdv, 23).

Questa carità pastorale Mons. Delle Nocche l’ha attinta dal Cuore di Gesù e dall’Eucarestia, capolavoro di quel Cuore divino, come la definiva nella sua prima Lettera pastorale alla Diocesi di Tricarico, che precedette il suo ingresso nella Diocesi.

Gesù Eucaristico era per lui il Maestro e nella sua prolungata preghiera e adorazione eucaristica, dal Maestro presente nell’Eucarestia, imparerà la mitezza, l’umiltà e la povertà, che diventeranno l’ossatura della sua personalità e spiritualità, e che cercherà di trasmettere soprattutto ai suoi sacerdoti.

Mi sembra che il profilo della carità pastorale del Vescovo Delle Nocche emerga in modo chiaro dal suo testamento spirituale: “Figliuoli miei carissimi…[…] Mi preme dirvi che, qualunque siano state le apparenze, vi ho amati tutti nel Signore, in particolare quelli che ho generato al sacerdozio e che oggi sono la maggioranza dei pastori del gregge diocesano da me governato per ben 38 anni. Perché vi ho amati nel Signore a volte vi ho fatto soffrire, poiché il bene superiore dell’anima vostra e gli interessi delle anime a me e a voi affidate non poteva conseguirsi senza quei provvedimenti che vi han fatto soffrire. […] Amate le anime per le quali Gesù Redentore ha immolato la sua preziosissima vita e continua ad immolarla per mezzo del nostro sacerdozio…Coltivate la vostra vita interiore, perché essa è l’anima di ogni apostolato…Amatevi l’un l’altro, come dice il testamento di Gesù: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. (Gv 13,35)…Amate teneramente, ma opere et veritate la Madonna santa…Il vostro apostolato sarà materno, penetrante, fruttuoso se mariano.” (Archivio Diocesano Tricarico).

A rendere più solida la sua carità pastorale fu la virtù dell’umiltà che il Venerabile Vescovo attinse dall’intensa e costante contemplazione dell’Eucarestia; una umiltà non ostentata in gesti di distanza e fuga dalla realtà, ma coniugata come sincerità, premura e amabilità. Proprio in quest’ultima individuò la cifra sintetica della sua persona, tanto da indicarla alle Discepole di Gesù Eucaristico, da Lui fondate, come atteggiamento da imparare dalla Mater amabilis e da realizzare nelle relazioni quotidiane come attenzione verso tutti.

Così scriveva nei Trattenimenti Spirituali, alle Discepole di Gesù Eucaristico, alla vigilia del mese di maggio: “L’amabilità ha per modello Gesù Cristo, del quale è scritto che cresceva in età, in sapienza, e in grazia presso Dio e presso gli uomini. L’amabilità ha per protettrice la Madonna! L’amabilità è la carità che si prodiga; è l’umiltà che si abbassa. L’amabilità è la mortificazione che si priva; è la pazienza che sopporta. L’amabilità è la forza che non si stanca! L’amabilità è la grazia delle maniere; è la pace del volto, è la benevolenza dello sguardo!” (TS, 343-344).

In questo momento storico in cui lo Spirito Santo invita ancora una volta la Chiesa ad approfondire la coscienza di se stessa, per confrontare l’immagine ideale voluta da Cristo con il volto reale con la quale essa oggi si presenta, in vista di quella necessaria riforma e conversione, anche il ministero ordinato necessita di uno stile nuovo, sempre più evangelicamente fondato e sempre meno caratterizzato da logiche ormai superate, legate a un mondo definitivamente tramontato. In vista di questa purificazione di stile, la formazione iniziale al ministero, come quella permanente, non può non puntare su una solida vita nello Spirito, capace di illuminare e orientare la dimensione umana, culturale e pastorale.

In questo senso risulta importante il richiamo di Marta alla sorella Maria riportato nel Vangelo di Giovanni: “Magister adest et vocat te”(Il Maestro è qui e ti chiama). (Gv 11,28); ricorda a noi ministri ordinati la centralità di Cristo nella nostra vita: la parte migliore che rende il nostro ministero sempre più a immagine di Cristo, Buon Pastore.

La testimonianza di Mons. Delle Nocche resta una preziosa eredità da custodire e investire.